Perché parliamo di
emigrazione forzata?

Ogni volta che sentiamo parlare di emigrazione, tutti noi siciliani ci sentiamo tirati in causa. Sappiamo che è un tema delicato, tocca le corde e il cuore di tutti. I nostri nonni, valigie di cartone alla mano, piangevano sulle navi in partenza per la rotta transatlantica; i nostri genitori piangono oggi in aeroporto, mentre con i nostri trolley ci accingiamo a partire per le città che proveremo a far diventare le nostre nuove case.

Case che però non sanno mai di casa: troppo diverse – gli odori, i paesaggi, le usanze. Eppure, ci adattiamo, anche soffrendo, perché sappiamo di non avere alternative: l’emigrazione dalla Sicilia non dipende da una spiccata curiosità dei siciliani verso il mondo, ma dall’impossibilità di poter restare a casa nostra, a causa delle condizioni economiche e materiali in cui versa la nostra terra.

Invertire la tendenza per scongiurare il deserto

La Sicilia si sta via via spopolando. Ad oggi, la più grande città dell’isola si trova fuori dai suoi confini geografici: sono più di 800mila i siciliani emigrati stabilmente al Nord Italia o all’estero, molti dei quali non faranno ritorno se non per le vacanze. Sta a noi invertire la tendenza e scongiurare il deserto, prima che sia troppo tardi.

Vogliamo sentire tutti quei siciliani che rifiutano di essere costretti ad andare via ribellarsi al grido «Nun si parti!». Che questa diventi la parola d’ordine di un movimento che parli di radici, di riappropriazione della propria terra e del proprio futuro, di lotta per ristabilire la libertà di restare.